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Pietro Gori

I funerali di Pietro Gori

(da Portoferraio a Rosignano)

Per avere un’idea dell’unanimità del cordoglio e dell’ «immensa dimostrazione d’affetto tributata ... all’indimenticabile compagno nostro» basta soffermarsi sui funerali di Gori, di cui possediamo non solo tre resoconti dettagliati...ma anche diverse altre testimonianze scritte, tra le quali - curiosamente - quella dell’organo della diocesi di Portoferraio «La Difesa», e perfino ricordi raccolti oralmente negli anni Settanta.

Il quadro che i racconti scritti e orali ci offrono, nella loro diversità e complementarità, vede grande protagonista dell’avvenimento (le manifestazioni popolari si protrassero per tre giorni: celebrazioni all’isola d’Elba l’ 8 gennaio, trasferimento della salma prima a Piombino con il piroscafo, poi a Castiglioncello in treno e a Rosignano a piedi il 9, tumulazione nel cimitero di Rosignano il 10 mattina) una folla valutata dai cronisti e dai testimoni in diverse migliaia di intervenuti: rappresentanze di gruppi anarchici, di associazioni politiche della sinistra (sindacalisti, socialisti, repubblicani), di leghe di mestiere, di circoli culturali e assistenziali, di società musicali, con corone e bandiere, ma soprattutto sia a Portoferraio che a Piombino, sia lungo il tratto ferroviario tra Piombino e Castiglioncello che a Rosignano assembramenti e cortei interminabili di gente comune. Un elemento su cui tutti i resoconti insistevano era proprio la vastità della partecipazione popolare, al di là di ogni distinzione sociale e politica. A Portoferraio, raccontava il periodico cattolico, «l’intera cittadinanza, senza distinzioni di classe e di partito, ha partecipato ai funerali, mentre tutti gli esercizi pubblici erano chiusi per lutto cittadino». «Migliaia di cittadini di ogni ceto - narrava «Il Libertario» - apposero la firma sopra un apposito registro»”. «Se avesse visto il mondo! - raccontava nel 1972 una testimone all’epoca venticinquenne - Per anda’ al piroscafo [...] non sapevo come fa’ a passa’, non ce la facevo a sfondare...dalla gente, la gente, la gente, la gente... tutta l’isola, con le bandiere». Ed altri: «Madonna! Dice che non l’hanno mai visto all’Elba un funerale così», «fecero dei funerali splendidi come ad un gran personaggio... una bara! un trasporto!», «il funerale non finiva mai... mi ricordo semplicemente che si vedeva una fiumana di gente che seguiva la salma», «meno che i malati poi eran fuori tutti».

Infatti «un lungo corteo con bandiere e musiche svoltosi nell’ordine più perfetto lungo la via Guerrazzi e le calate accompagnava la salma e assisteva all’imbarco sul piroscafo “Giglio” che alle 13,30 staccavasi dalla banchina dirigendosi a Piombino», «Piangete, plebi neglette ed oppresse, piangete oggi», invitava il manifesto diffuso dall’Associazione Giordano Bruno a Portoferraio in un’occasione che sembrava unire gli anticlericali ai clericali. Armando Borghi, che nel settembre precedente si era recato all’Elba in visita a Gori ormai gravemente ammalato, aveva messo in rilievo la coralità dell’affetto e dell’ammirazione: «è adorato dagli umili, è ammirato e venerato anche dall’alto ceto sociale borghese».

A Piombino «ogni piazza, ogni finestra, ogni spazio disponibile era colmo di persone di tutte le classi della cittadinanza, accorse a rendere l’ultimo tributo di affetto alla memoria di Pietro Gori». Secondo i più recenti ricordi di un testimone, «le persone non trovando posto ai bordi della strada salirono sui tetti delle case e in assoluto silenzio lanciavano garofani rossi sul carro funebre». Come all’Elba anche a Piombino gli operai avevano abbandonato il lavoro, gli spettacoli erano stati sospesi e i negozi erano rimasti chiusi. Il lutto era generale. Nel tratto di strada che saliva dal porto, dove aveva attraccato il piroscafo con la bara, fino alla stazione, si accalcava una folla che «L’Avvenire anarchico» valutava in 7.000 persone ed «Il Martello» faceva salire fino a 22.000. Ma, al di là della correttezza o meno delle stime, restava la realtà di una «grandiosa, superba dimostrazione non preparata» e il fatto che «Piombino non serbava memoria di alcuna manifestazione di cordoglio consimile». Il dolore per la perdita di quello che i popolani chiamavano «il nostro Pietro» veniva sottolineato attraverso rapidi flash. «Vedo dei fanciulli baciare il feretro di Pietro; due giovani piangenti stretti l’uno all’altro cadono a terra: uno d’essi è svenuto e viene immediatamente soccorso. Non un ciglio rimane asciutto». E ancora: «Molti piangevano, ed un gruppo di donne d’innanzi al Teatro dei Ravvivati lanciò baci al feretro, baci d’affetto e di dolore [...] Mentre 10 operai sollevavano la pesante bara un vecchio volle toccarla con la mano ritraendola baciandola ed esclamando: Addio Pietro, ti ho voluto tanto bene! ».

Lungo il tragitto percorso dal treno tra Piombino e Castiglioncello, centinaia di operai o comunque di persone di umile estrazione sociale si accalcavano alle stazioni e sulla massicciata per salutare «la spoglia dell’ uomo tanto amato».

Alla stazione di Castiglioncello, dove il treno giungeva alle 21.30, attendevano circa 2.000 persone con 30 bandiere. Il feretro era tratto dal treno «fra le grida, i pianti, le esclamazioni affannose della moltitudine»  E secondo una testimonianza più recente: «Dovunque, qui c’erano tutte le rappresentanze d’Italia, da Ancona venivano: li striscioni delle corone, c’era scritto tutto: e c’era poi la rappresentanza. Da Pisa, poi, Livornesi, Massa Carrara, non te lo ‘mmagini la gente che c’era, così!».

La «triplice, pesantissima cassa», troppo grande per entrare nel carro funebre, veniva «presa a braccia e trasportata per 7 chilometri al paese di Rosignano».

Ricordava, cinquant’anni dopo, Gusmano Mariani, figura di spicco dell’ambiente anarchico pisano: «Erano circa le undici di notte, allorché giunse il feretro. Faceva freddo, infuriava il vento e le onde del mare agitato si infrangevano contro gli scogli. Ma nessuno si era mosso, nessuno si lamentava». Alla casa di Gori, dove veniva improvvisata la camera ardente, l’ufficiale sanitario doveva cedere alle pressioni e permettere l’apertura di un oculo nella cassa perché la popolazione «voleva vedere per l’ultima volta l’amata effigie». Il giorno successivo un «corteo interminabile» accompagnava al cimitero la bara, che veniva «scoperchiata dopo generali insistenze» alla cappella di famiglia.

 (Da: "Pietro Gori, il cavaliere errante dell'anarchia" di Maurizio Antonioli)